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Nel 2021 la popolazione residente in Italia di età compresa tra i 15 e i 74 anni è costituita per l’8,9% da cittadini stranieri, per il 2,3% da cittadini italiani per acquisizione (naturalizzati) e per l’88,8% da cittadini italiani dalla nascita.

Dei 3 milioni 961 mila stranieri residenti in Italia, circa un quarto sono di cittadinanza romena e quasi un decimo (9,1%) albanese, a cui seguono la cittadinanza marocchina (8,8%), ucraina (4,9%), cinese (4,0%) indiana (3,7%), filippina (3,7%), moldava (3,3%), bangladese (2,8%) e peruviana (2,3%); tutte insieme, queste cittadinanze rappresentano circa i due terzi della popolazione straniera.

È questo il quadro che emerge dall’ultimo Report Istat dedicato all’integrazione di stranieri e naturalizzati nel mercato del lavoro, inserito nella Rilevazione sulle forze di lavoro per l’anno 2021.

Il lavoro costituisce sempre il motore principale del progetto migratorio per gli stranieri, per questo la loro presenza tra le forze lavoro è molto elevata, con tassi di occupazione e di disoccupazione tradizionalmente superiori a quelli degli italiani nati in Italia. Tra i naturalizzati invece, che più spesso degli stranieri sono arrivati in Italia per motivazioni familiari, si rilevano un più basso tasso di occupazione e un più elevato tasso di inattività, dovuti soprattutto alle donne; per la componente maschile i livelli e la dinamica dell’occupazione e dell’inattività sono invece più simili a quelli degli autoctoni che a quelli dei cittadini stranieri.

Gli italiani dalla nascita, i naturalizzati e gli stranieri si differenziano anche per il livello di istruzione. Gli stranieri sono mediamente meno istruiti: il 54,1% possiede al massimo la licenza media, a fronte del 40,2% dei naturalizzati e del 42,6% degli italiani dalla nascita. Gli italiani dalla nascita mostrano la quota di laureati più elevata (17,3% rispetto al 15,8% dei naturalizzati e al 10,1% degli stranieri). In generale, i naturalizzati mostrano una distribuzione per titolo di studio più simile agli autoctoni che agli stranieri, soprattutto per la popolazione maschile; per tutti e tre i collettivi le donne sono più istruite degli uomini, ma la differenza è particolarmente evidente tra gli stranieri: i maschi sono laureati nel 6,9% dei casi, contro il 12,8% delle donne straniere, il 12,9% dei maschi naturalizzati e il 15,1% dei maschi autoctoni.

I dati mostrano anche la difficoltà per gli stranieri di ottenere un lavoro adeguato alle proprie competenze. La quota di quanti ritengono di svolgere un lavoro poco qualificato rispetto alle proprie competenze tra gli occupati stranieri è quasi doppia rispetto agli italiani dalla nascita (19,2% contro 9,8%); i naturalizzati si posizionano nel mezzo, con un valore inferiore a quello degli stranieri ma più alto rispetto agli autoctoni. La differenza tra i gruppi è ancora più accentuata per le donne – tra le straniere la quota di quante ritengono di svolgere un lavoro poco qualificato è di 2,3 volte superiore a quella delle italiane nate in Italia – e per i laureati (la quota è di 3,8 volte superiore).  Possedere un titolo di studio elevato, indipendentemente dal suo riconoscimento, non sembra inoltre migliora l’allocazione degli stranieri nella struttura occupazionale: tra gli occupati stranieri laureati soltanto il 38,4% svolge una professione qualificata (contro il 61,5% dei naturalizzati e l’81% degli italiani dalla nascita). Inoltre, se per gli italiani, l’entità del fenomeno diminuisce al crescere dell’età –tra i naturalizzati e soprattutto tra gli stranieri avviene esattamente l’opposto: al crescere dell’età aumenta la percezione di svolgere un lavoro poco qualificato.