Il 6 febbraio pv. ricorre la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, che rappresentano la manifestazione di una profonda e radicata disuguaglianza di genere.
Sin dal 2001 l’ANOLF Nazionale con il suo Coordinamento Donne ha profuso il suo impegno, lavorando costantemente nella denuncia di questa primitiva pratica e nella sensibilizzazione della società civile su questo ripugnante tema. Da allora, grazie alle numerose segnalazioni pervenute ai nostri sportelli informativi presenti in tutto il territorio nazionale, il problema della mutilazione genitale femminile è divenuto una battaglia condivisa, attraverso iniziative e azioni congiunte, con la CISL e il suo Coordinamento Donne.
Il movimento internazionale per contrastare e abolire tali pratiche si rende concreto nel secolo scorso, grazie ai primi sforzi di Organizzazioni e Comitati femminili africani. In Europa, l’attenzione verso questo problema arriva nel 1980 con l’istituzione della Conferenza sulla Donna di Copenhagen mentre in Italia nel 2006 è stata promulgata la legge, tanto sostenuta da ANOLF – Legge n.7 del 9 gennaio 2006 – ove troviamo dettate le misure necessarie per “prevenire e debellare le pratiche delle mutilazioni genitali femminili quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine” (art.1).
Tale norma ha determinato una duplice azione con provvedimenti repressivi della violenza contro i diritti umani di ogni donna e, dall’altra, un valido strumento informativo e preventivo nei riguardi di tutte le donne e delle famiglie immigrate presenti nel nostro Paese.
L’importanza sociale e culturale delle azioni di sensibilizzazione e denuncia di ANOLF con il sostegno della CISL, risiede nel fatto che l’Italia è tra i primi paesi in Europa con il più alto numero di donne infibulate, per lo più immigrate di origine somala e nigeriana.
Il tema tutela e salute di vittime di MGF implica necessariamente una riflessione sul concetto stesso di salute. Questo, infatti, è stato variamente inteso: o come “stile di vita”, immerso in un insieme complesso di simboli, valori e rappresentazioni, in base ai quali l’uomo dispiega e organizza la sua presenza nel mondo, qui e ora, e in tal senso è espressione della sua cultura (Illich, 1976); o come “modo di essere”, cioè come un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme con altri uomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti particolari della vita.
Se ciò è vero, il fenomeno dell’immigrazione ha portato moltissime persone a vivere in contesti socio-culturali e normativi nei quali il concetto di salute è concepito in modo assai diverso da quello dei loro paesi di origine; ne consegue che, a motivo dell’assunzione di nuovi stili di vita e di nuovi comportamenti da parte degli immigrati, con tutte le conflittualità del caso (Morrone, Mereu, 2003), per la nazione ospitante si pone un duplice problema: da un lato, organizzare servizi socio-sanitari diversificati, elastici e soprattutto in grado di affrontare una diversa concezione della salute e della patologia (Morrone, 2004); dall’altro, assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, tra i quali vi è anche quello della tutela della salute dei minori.
In tale situazione, si colloca il tema delle MGF, la quale, a causa delle gravi conseguenze provocate sia a breve sia a lungo termine proprio sulla salute individuale, è stato previsto a titolo di reato dal nostro Legislatore nel 2006. La questione, però, sembra tutt’altro che risolta, per cui segnalare la possibilità di intervenire non solo sul piano penale, ma anche su quello civile e su quel minorile appare come il presupposto per lo sviluppo di azioni sempre più mirate a proteggere le vittime di tali pratiche.